Questo progetto fotografico, promosso dall’Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, è nato da un’idea di Massimo Bray. La volontà principale è stata quella di documentare i gravi danni al patrimonio artistico dell’Italia centrale.
Il terremoto con le scosse in centro Italia del 24 agosto, del 26 e 30 ottobre ha portato via centinaia di vite nel modo più tragico cambiando per sempre l’esistenza di chi è sopravvissuto. Interi paesi distrutti, un numero rilevante di centri evacuati e intere comunità strappate alle proprie abitudini, al proprio ambiente e alla propria quotidianità. Migliaia di persone a cui è stato tolto tutto ciò che era loro familiare.
In questo contesto i beni artistici potrebbero apparire come vittime marginali e quindi trascurabili di questa tragedia. Nulla di più sbagliato.
Muovendomi da un centro all’altro, tra quelli colpiti dal sisma, ho avuto la possibilità di parlare con molte delle persone che trascorreranno il prossimo inverno nelle tende, lontano dalla propria casa, ma decisi a rimanere per ricostruire la propria vita in queste vallate.
E’ stata palpabile la sensazione di quanto essi stiano attingendo ad un patrimonio immateriale per trovare la forza e le qualità necessarie per ripartire. Proprio nel momento in cui, di fronte alle abitazioni e agli interi paesi distrutti, sembrerebbe impossibile intravedere un possibile futuro. Attraverso una dimensione comunitaria, in un’epoca in cui gli elementi caratterizzanti sono altri, di fronte all’assoluta avversità si riscopre il collante essenziale tra uomini, la cultura.
Una cultura sublimata nel grande patrimonio artistico del centro Italia, creazioni di una terra storicamente produttiva e ricca in cui ogni centro, dal più importante al più piccolo e remoto, ha i suoi capolavori e la sua chiesa, dove essa non rappresenta semplicemente il luogo spirituale. Esprime invece il luogo umano in cui i capolavori sono stati incastonati e custoditi, che per secoli è stato l’esclusivo punto d’incontro tra l’uomo e l’opera d’arte. Ogni piccolo paese avendo la sua chiesa ha permesso a centinaia di generazioni di costruire un proprio rapporto con l’opera, sia esso cosciente o implicito. Una rete capillare che ha ispirato nei secoli milioni di uomini e donne.
Infatti proprio questa relazione con l’oggetto d’arte ha stimolato in qualche modo la crescita di ogni singolo individuo che si sia trovato per caso o di proposito di fronte ad esso. L’arte rende incerti perché non si comprende, ma è proprio in questa incertezza che si ha la possibilità di avvicinare se stessi a ciò che non si conosce e crescere. La sua funzione collettiva è stata fondamentale per creare un senso di appartenenza inclusivo alla comunità, un presidio di bellezza da contrapporre all’indifferenza rispetto a chi e cosa abbiamo intorno.
L’arte non è un oggetto immobile o una semplice decorazione antiquaria. E’ parte viva della società, interagisce con essa e deve poter continuare a svolgere il proprio ruolo.
Questo rapporto non può essere reciso, affonda le sue radici nel tempo. Sempre in trasformazione in una danza dialettica in cui quelle stesse opere vengono reinterpretate e ridefinite, mai identiche a se stesse ma in continua evoluzione assieme agli occhi che da secoli le osservano.
Per questo ho deciso di raccontare con le immagini i danni subiti dal patrimonio artistico del Centro Italia e tutti gli sforzi fatti per salvaguardarlo. Un viaggio che ha documentato più di 100 tra edifici e opere salvate, danneggiate o distrutte attraverso 17 zone rosse nelle tre regioni colpite (Umbria, Marche e Lazio). Accumoli, Amatrice, Ancarano, Arquata del Tronto, Camerino, Campi, Castelluccio di Norcia, Castelsantangelo sul Nera, Montecavallo, Norcia, Pievebovigliana, Preci, San Severino Marche, Tolentino, Visso e Ussita.
Rintracciare e documentare i beni culturali non è stata un’impresa semplice sia perché di alcuni purtroppo in tanti casi non è restato molto sia per l’inaccessibilità di molti dei paesi colpiti. Gli accessi a molti dei centri sono ormai impercorribili. Nuove strade sono state battute per raggiungere i centri ormai isolati, i tempi di percorrenza tra una paese e l’altro dilatati di ore, per arrivare a borghi in cui l’innaturale silenzio riempie il vuoto lasciato dagli uomini. Orientarsi e spostarsi tra le vie ricoperte dalle macerie nella maggior parte dei casi è un’impresa assai ardua. Ricercare una chiesa, un palazzo o addirittura immaginare quale potesse essere la visuale prima del terremoto è un’operazione complessa da affrontare con la duplice cura della propria sicurezza e della volontà di voler raggiungere un luogo ormai inaccessibile.
I soccorritori hanno cercato di salvare vite umane e opere d’arte con la medesima cura, ho visto mettere a rischio la propria vita nell’intento di estrarre una pala d’altare o un Cristo ligneo proprio perché consapevoli che in quelle chiese e in quelle piazze, così tremendamente colpite, erano stati vissuti i momenti più importanti della propria comunità. Pertanto esse costituivano l’identità stessa dei luoghi e delle persone.
Devo ringraziare i Vigili del Fuoco senza i quali non sarei stato in grado di realizzare nemmeno un singolo scatto. Ho incontrato insieme alla visione sconfortante delle opere secolari distrutte l’enorme dedizione dei soccorritori e dei volontari che con attenzione e autentica passione hanno riportato alla luce ogni rudere, ogni dipinto o scultura. Ripulendoli, preparandoli per il trasporto nei magazzini anti-sismici, con la convinzione che nel più breve tempo possibile potranno essere di nuovo al loro posto, tra la loro gente.
Appena entrato nel deposito dei beni culturali di Spoleto, ho avuto d’impatto l’immagine di come, per quanto inanimate, le opere fossero anch’esse sfollate. Abitanti temporanei di un luogo fuori dal loro contesto, adagiate in pose innaturali uno accanto all’altra, sembrano aver subito lo stesso destino della popolazione con la quale si confrontano da secoli e con cui hanno condiviso molto più della semplice dimensione spaziale.